L’imposizione sugli extraprofitti: verso una (pericolosa) “normalizzazione” di forme non più eccezionali d’imposizione straordinaria
La sempre più frequente applicazione di imposte “straordinarie” rischia di aprire ad una normalizzazione di prelievi, per definizione, eccezionali
Assegnista di Ricerca in Diritto Tributario
Università Cattolica del Sacro Cuore
Il cd. D.L. n. 104/2023, convertito in L. n. 136/2023, ha confermato l’introduzione di un’imposta straordinaria sugli extraprofitti delle banche. Nella sua originaria formulazione, il tributo, la cui introduzione troverebbe giustificazione nell’anomalo andamento dei tassi di interesse e del costo del credito, ha subito destato diverse perplessità. Ad oggi, a seguito degli emendamenti presentati a margine del D.L. n. 104/2023, gli effetti dell’imposta (e l’extragettito conseguente all’applicazione di quest’ultima) sembrerebbero essere stati pressoché neutralizzati. Se ciò è vero, la rinnovata introduzione di un’imposta straordinaria in Italia – e la contestuale applicazione di tributi similari in Europa – sembrerebbe quasi aprire ad una pericolosa “normalizzazione” del ricorso a queste misure fiscali. Quasi come se si trattasse di prelievi assimilabili a forme d’imposizione ordinaria e non, al contrario, di tributi che, per loro natura, funzione ed effetti dovrebbero trovare ragion d’essere soltanto in condizioni di assoluta ed oggettiva eccezionalità, necessità ed urgenza.